Alessandro Guerriero

Presidente accademia belle arti NABA

Non posso dire che conosco davvero Marco Penati.

Credo che lui comunque non accetterebbe mai di 'spiegarsi' perché è un po' come prostituirsi.

Con i suoi disegni sta già ripetendo all'infinito se stesso ma anche se stesso come somma di individui, in costante insistenza autobiografica dove però il reale, la sua vita vera, non ha niente a che fare. I suoi luoghi del pensiero sono divisi per emozioni, per piccole sfrangiature, per linee contorte e composizioni improbabili.

La somma di frammenti delle facce, i fiori, le ossessioni, le frasi non dette, i rami, i rumori, l'amore, le torture, i pezzi di corpo, i piatti con la mela morsa sono in una totale contemporaneità del tutto, in un labirinto non finalizzato. Tutto dentro la violenza del mondo in quanto luogo fisico.

Lui non farebbe mai un inventario di se stesso.

Lui non accetterebbe di essere un oggetto ricordo nel museo della soggettività.

Chi potrebbe descrivere il suo scollamento dal mondo: Winfried Sebald, Mario Schifano, Eugenio Carmi?

Chi sarebbe il testimone della sua finzione biografica: Umberto Eco, Georges Perec, Raymond Queneau?

Chi può parlare delle sue immagini oniriche: Italo Calvino, Jorge Luis Borges, Enrique Vila-Matas?

Smontiamo ogni suo pezzo, analizziamolo, rimpiccioliamolo, ingrandiamolo, dipingiamolo, didascaliamolo ... e poi rimontiamo tutto in mille metri quadri nella vertigine e nel desiderio di avere una piccola verità.