Emilio Cantù

Docente letteratura inglese

Non vuole essere un giudizio spassionato il mio e tanto meno un'analisi oggettiva da critico d'arte: non ne avrei la competenza. Voglio però condividere con Marco ed i suoi estimatori le emozioni ed il pensiero che le sue opere d'arte mi hanno suscitato.

Ricordo un suo quadro di molti anni fa che mi regalò e che non compare in questa mostra.

Un gesto spontaneo e generoso il suo quando si accorse del mio interesse e della meraviglia che provai di fronte a quell'immagine cripto-fallica spinosamente schizzata con inchiostro nero di china.”Angoscia” mi disse che era il suo titolo. E ancora quell'immagine artistica in rigoroso bianco e nero campeggia trionfale sopra il divano del mio salotto con totemica presenza.

Ma veniamo all'oggi. Come non provare entusiasmo e ancora meraviglia di fronte alla magia infinita o infinita reiterazione di quelle che lui chiama impunemente “faccine”. Macché faccine, sono piuttosto marchi indelebili di un archetipo rivissuto con ardore o più semplicemente un pretesto, uno sguardo incisivo il cui compito a me sembra sia quello di portare in superficie, o meglio,in superfici variegate ma nella stessa forma un'anima, un “essere” di fango, di resina,o di vetro, poco importa, o forse importa molto se il materiale che lui usa , la sua ”materia primitiva” è l'inveramento di uno spirito sofferto. Così a me sembra.

E poi ci sono gli Oggetti la cui bellezza decisamente originale nasce dalla diversità delle parti che li compongono, una fusione , azzardata in apparenza, di p-Arti abbandonati o rifiutati che lui porta in vita in nome della bellezza che, citando Dostoevskij è essenzialmente “ vita concepita e salvata” senza la quale non c'è proprio nulla da salvare.