Stefano Pugliesi

Artista

Immaginate di trovarvi in una qualsiasi stazione, state aspettando il treno per chissà dove e siete soli. È mattina, la luce è ancora scarsa e i pensieri vagano, vi accorgete di non aver fatto il biglietto, perciò in attesa del treno sfilate il portafogli dalla tasca per controllare se ci sia rimasto un biglietto valido, fortunatamente c'è. Sfortunatamente, o forse no, nel rimettere al suo posto il portafogli la cerniera lascia sgusciare fuori una moneta da dieci centesimi, che finisce precisamente su uno dei binari. Un treno di transito, sfortunatamente, si trova a passare proprio in quel momento sulla stessa moneta che vi è caduta poco fa. Dopo qualche secondo il treno è lontano, la moneta immobile dove l'avete lasciata, ma diversa. Le ruote l'hanno schiacciata, allungata. Ne hanno cambiato la forma al punto da essere indecifrabile, pertanto inutile. Eppure un qualche valore ancora lo ha. Marco Penati ogni mattina visita la stazione e lascia deliberatamente cadere qualche moneta, questo è il modo in cui opera per buona parte dei suoi lavori.
KINTSUGI

Ricordo una volta, abitavamo ancora vicini, in cui mi chiese di aiutarlo a rimontare una mensola che aveva ceduto, sulla mensola c'erano almeno quindici delle sue opere, molte si erano rotte. Ovviamente imprecò, gli chiesi cosa avrebbe fatto con quanto era sopravvissuto, mi disse che non gliene fregava un cazzo, le avrebbe sistemate, ciò che lo infastidiva era la mensola. L'utilizzo consapevole della casualità e dell'errore è visibile nelle opere di Marco Penati, nonostante abbia una produzione molto fertile a volte impiega mesi per dire concluso un oggetto. Lo lascia in mezzo a cento altri, aspettando che si rompa o che gli finisca addosso uno schizzo di resina, di minio, di qualsiasi cosa stia utilizzando in quel momento. Marco Penati riesce a cogliere quei "segni del destino" che danno un'accezione diversa alle forme precedentemente architettate. Se osservate con sufficiente attenzione, le sculture presentano spesso crepe, i visi sono stratificati. Non è molto distante, nel concetto, da ciò che in giapponese si chiama kintsugi.
CASUALITÀ

"Uso pennelli molto grandi e, per il modo in cui lavoro, spesso in realtà non so cosa farà il colore, e il colore fa spesso cose migliori di quelle che potrei fargli fare io. È un fatto accidentale? Forse si potrebbe dire che è accidentale, perché scegliere di conservare una parte di questa accidentalità piuttosto che un'altra diventa un processo selettivo. Si tenta ovviamente di mantenere la vitalità dell'azzardo pur salvaguardando una continuità." Francis Bacon

Ogni altra parola sarebbe superflua, ma è utile descrivere come tale meccanismo si declina nel lavoro di Marco Penati. La conoscenza dei materiali dovuta agli anni di esperienza nel mondo del design e i più recenti anni di sperimentazione autonoma gli permettono di creare forme composite, legando tra loro i materiali e le lavorazioni. Nelle sculture della serie Visi DiVisi questa abilità, filtrata attraverso la casualità, porta alla creazione di oltre settecento cloni, settecento copie deformi della stessa scultura. Ognuna di esse possiede un’identità individuale, evidente se presa singolarmente, ma che nella visione d’insieme, immersa fra le altre, si perde. Molte di esse sembrano fallimenti, tentativi di replicare fedelmente l’oggetto che Marco Penati trovò in giovane età sotterrato nel giardino di una casa abbandonata, tuttavia, il lavoro di deformazione, in alcuni casi vicino all’astrazione, è intenzionale e alimentato talvolta da intuizioni ironiche. Ulteriore elemento caratteristico delle sculture e dei quadri di Marco Penati è il riuso di oggetti quotidiani, dalle sigarette alle lampadine, o di elementi naturali, come foglie o rami. Questa è la filosofia che permea il suo modus operandi, ripartire da un oggetto rotto, utilizzare materiali di scarto, realizzare innumerevoli copie di una scultura dissotterrata. Emblematico di questo approccio è l’impiego che fa degli ossidi metallici, Marco Penati sembra individuare il bello nella ruggine, nella sua organicità, nell’apparente casualità con cui prolifera