Vincenzo Guarracino (2022)

Poeta, critico letterario e d'arte

NUOVE ALLEGORIE

“Perchè mai, Pannychis, la gente dice sempre verità approssimative, come se la verità non risiedesse soprattutto nei singoli dettagli? Forse perché gli uomini stessi sono soltanto qualcosa di approssimativo.” F. Dürrenmatt, La morte della Pizia

“Quid est veritas?” (Che cosa è la verità?): domanda capitale che Pilato rivolse a Gesù nel Pretorio durante il processo (Giovanni 18, 37-38), domanda destinata a restare inevasa non perché non abbia una risposta ma perché la sua risposta è già lì. Colui al quale è rivolto l’ha già data e sta a tutti, a noi, riconoscerla.

Filosofia e scienza che da sempre si sono interrogati su di essa hanno dovuto convenire sulla sua indefinibilità, meglio sulla sua relatività, relazionale e non oggettiva. La Verità la si cerca e sta nella relazione, tra due o tra più: tra ciò che si conviene e il modo in cui la si intuisce e definisce.

In questo, chi sembra il più convincente è Lucrezio, che nel De Rerum Natura asserisce che la Verità si trova nelle “sensazioni” che ogni singolo individuo ha nel rapporto con le cose. Cioè che la verità è del tutto, ancora una volta, soggettiva. E dunque opinabile.

Certo è che, come dice Saint-Exupéry, “la verità non si scopre: la si cerca”. E per questo va innanzi tutto trasformata, da “Quid est veritas?” in “Ubi est Veritas?” (Dove è la Verità?), e la risposta è lì, sotto i nostri occhi, come si dice nel Vangelo apocrifo di Filippo: “La verità non è venuta al mondo nuda, ma in simboli ed immagini”.

Ecco, cercarla “in simboli ed immagini”, nei “dettagli” del visibile, come dice Dürrenmatt con insolente irriverenza smontando un mito capitale, quello di Edipo.

Simboli e immagini, “dettagli” di un visibile che sotto gli occhi di tutti in attesa di essere compreso, nella quieta accettazione del suo enigma. Mira a questo il “progetto” di Marco Penati a uno snodo essenziale della vita, sua e nostra, dopo gli anni bui della pandemia?

Un progetto che si riallaccia a un precedente importante, del 1989, svoltosi a Milano, sotto l’egida di amici (Giorgio Larocchi, promotore, e Roberto Sanesi, il Poeta, ispiratore), legato già quello al tema delle “Allegorie”, a partire da un verso celebre di W.B. Yeats, “Certo qualche rivelazione è vicina”, che invita all’attenzione di fronte alle cose nell’attimo della sua magica e irripetibile metamorfosi.

Marco allora cosa fa, nella serie soprattutto dei VISI DIVISI? Li registra questi attimi in un’infinita sequenza lasciando a noi il compito di scoprire tra variazioni di materiali e di colori la facies archetipica più confacente all’immaginario di ciascuno. Non diversamente da quanto fa anche nei dipinti, dove il tema dei “dettagli” emerge chiaramente negli oggetti della rappresentazione e addirittura in certi titoli, come nel “trittico degli scarti”. Come dire che ciò che importa, là dove si annida e si attende l’epifania del senso, è il minimo, ciò che per i più è insignificante e trascurabile ma che agli occhi dell’artista lascia intuire il miracolo della “rivelazione”.